mercoledì 10 ottobre 2018

Decalogo per trattare con un arrogante - Mons. Domenico Sigalini

1. Non ti sentire mai offeso, nessuno può entrare nel sacrario della tua coscienza.
2. Non perdere tempo a rendere pan per focaccia: peggiori tu e spingi l'altro a perseverare.
3. Non compatirlo, ma creagli attorno un contesto disarmante di amicizia.
4. Spesso è maleducazione incosciente la sua: aiutalo a scoprire i sentimenti tenui della vita.
5. Sappi che ogni uomo ha bisogno degli altri per essere felice, ma deve allargare il cuore per far loro spazio.
6. Si è fatto lui centro del mondo: aiutalo a scoprire il vero centro che è Dio.
7. Per valutarsi nella verità di se stesso, ha bisogno di lasciare il suo loculo, nel quale si sente papa, re e profeta.
8. Se comincia a chiedere scusa, anche tra i denti, non lo scoraggiare: è su una buona strada.
9. La buona educazione non è il politicamente corretto, ma il lasciarsi conquistare da un ideale.
10. Conquisti più arroganti con una goccia di miele che con un barile di aceto.

- Mons. Domenico Sigalini -
dal Messagero di Sant'Antonio, marzo 2009


Buona giornata a tutti :)










martedì 9 ottobre 2018

da: "Memoria di sacerdoti ribelli per amore 1943-1945" di don Giovanni Barbareschi


Le parole del Vescovo hanno detto con chiarezza perché siamo stati «ribelli», le parole dei docenti di storia dicono tutto il limite di questa «memoria» e tutte le possibilità che essa apre per la costituzione di una documentazione completa di quel periodo.
Le parole del Vescovo hanno detto con chiarezza perché siamo stati «ribelli», le parole dei docenti di storia dicono tutto il limite di questa «memoria» e tutte le possibilità che essa apre per la costituzione di una documentazione completa di quel periodo.

Io vorrei sottolineare il valore formativo, educativo, di questa «memoria».

Scrive padre David Turoldo: «Oggi abbiamo giovani senza ricordi: giovani astorici. Generazioni rapinate del dono della memoria; perciò incapaci, o almeno inadatte, a credere perfino in un loro definito avvenire. Non sanno nulla del passato, nulla sanno del futuro. Così rischiano d’essere alla mercè del cinismo o almeno dell’indifferenza...». 
E don Primo Mazzolari osserva:
«Quando capiremo i morti, allora finirà l’odio e ogni divisione...».

Per scoprire il valore educativo di questa «memoria» bisogna cercare di cogliere tutte queste pagine in un unico sguardo d’insieme. Solo in una visione di sintesi questi episodi raggiungono pienamente il loro significato, il loro valore, la loro capacità educativa.

Leggo nel giornale clandestino «il Ribelle» del 24 settembre ’44: «La verità che è luce dell’intelligenza, diviene fuoco nel cuore che l’accoglie e la serve».
Proprio così: in quegli anni terribili la diocesi ambrosiana appare come un immenso braciere, come un grande fuoco acceso, dove i vari tizzoni ardono
e si consumano.
La brace ardente e viva è costituita dal lavoro faticoso e nascosto compiuto per anni nella formazione delle coscienze. È così negli oratori, nelle parrocchie, con una predicazione che dice evangelicamente pane al pane e vino al vino, nei gruppi di Azione Cattolica, nei «raggi»... Con questa pedagogia umile e nascosta si formano le coscienze, si educa alla libertà, si aiuta il maturare di ogni persona.

Su questa brace ardente e viva si aggiungono i vari tizzoni che il momento storico e le situazioni contingenti richiedono: preti delle parrocchie di confine, che avvertono improvvisamente il significato provvidenziale della loro presenza in quel paese, in quel giorno. Preti delle città e delle campagne, che raccolgono e distribuiscono la stampa clandestina per diffondere alcune idee allora proibite, che falsificano documenti per reagire all’ingiustizia e affermare che anche l’ebreo è una persona umana. 
Preti che sentono il dovere di seguire in montagna, nei nuclei partigiani, i giovani del loro oratorio ed assicurare loro l’assistenza religiosa.
Sono tizzoni che giorno per giorno si aggiungono sulla brace ardente, senza che uno sappia dell’altro, senza che uno lo dica all’altro... Si aggiungono anche i gesti umili, banali, che nessuno ha annotato, che nessuno saprà mai: una porta di canonica che si apre ed accoglie, una parola detta, un’altra taciuta, un segreto mantenuto, un documento consegnato, un soccorso prestato senza neppure sapere a chi...: gesti che nel segreto di una coscienza sono stati atti di solidarietà ai fratelli. Ed hanno richiesto coraggio, decisione, sacrificio.
Tutto entra nel grande fuoco e lo alimenta e si consuma... Il fuoco arde, illumina, riscalda.

Quando il gelido vento del dubbio, della stanchezza, sembra voler spegnere la fiamma dell’entusiasmo iniziale, questi sacerdoti si aggrappano al loro Vescovo, ai loro Maestri, ai confratelli più anziani.

Emergono così, nel vasto braciere della diocesi, le meravigliose figure del cardinal Schuster, di monsignor Galimberti a Busto Arsizio, di monsignor Simbardi a Gallarate, di monsignor Sonzini a Varese, di monsignor Castiglioni a Vimercate, di don Ticozzi a Lecco, di monsignor Figini e don Carlo Colombo a Venegono e a Milano, di don Mapelli a Sesto... ed altri, altri ancora, che incoraggiano, sostengono, guidano, confortano... 
Il fuoco continua la sua testimonianza di luce e di calore.

Questo braciere non ha un nome, non ha una data, non si spegne neppure con il sopraggiungere della Liberazione. Continua ad ardere, perché altri hanno bisogno...

Solo così, leggendo in questa visione di sintesi i singoli episodi, i fatti banali di ogni giorno e di ogni paese, si può intuire il vero perché di questa «memoria».

- don Giovanni Barbareschi -

da: "Memoria di sacerdoti ribelli per amore 1943-1945" di don Giovanni Barbareschi, riedito dopo 32 anni dal Centro ambrosiano a cura di Emanuele Locatelli, con una prefazione di Marco Garzonio 






giovedì 4 ottobre 2018

Sabato sera del 3 ottobre 1226 : Piissimo Transito del Serafico Padre san Francesco


«… Avvicinandosi il momento del suo transito, fece chiamare intorno a sé tutti i frati del luogo e, consolandoli della sua morte con espressioni carezzevoli li esortò con paterno affetto all’amore di Dio. 
Si diffuse a parlare sulla necessità di conservare la pazienza, la povertà, la fedeltà alla santa Chiesa Romana, ma ponendo sopra tutte le altre norme il santo Vangelo. 
Mentre tutti i frati stavano intorno a lui, stese sopra di loro le mani, intrecciando le braccia in forma di croce (giacché aveva sempre amato questo segno) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso. 
Inoltre aggiunse ancora: “State saldi, o figli tutti, nel timore del Signore e perseverate sempre in esso! E, poiché sta per venire la tentazione e la tribolazione, beati coloro che persevereranno nel cammino iniziato! Quanto a me, mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla Sua grazia!”. Terminata questa dolce ammonizione, l’uomo a Dio carissimo comandò che gli portassero il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il passo di Giovanni, che incomincia: “Prima della festa di Pasqua...” (Gv 13, 1). 
Egli, poi, come poté, proruppe nell’esclamazione del salmo: “Con la mia voce al Signore io grido, con la mia voce il Signore io supplico” e lo recitò fin al versetto finale: “Mi attendono i giusti, per il momento in cui mi darai la ricompensa” (cfr. Sal 141, 1-8). Quando, infine, si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell’anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell’abisso della chiarità divina e l’uomo beato s’addormentò nel Signore. (cfr. At 7, 60)» 

- San Bonaventura, FF 1241 - 1242 - 1243 -


Buona giornata a tutti. :)