mercoledì 17 marzo 2021

La predica dei morti


Arroccata sulla cima del monte Pirchiriano, l’abbazia di San Michele della Chiusa nella Val di Susa a Torino è un maestoso e antichissimo complesso religioso dedicato al culto dell’arcangelo Michele, che ha rappresentato una tappa importante nella rete di pellegrinaggi che univa i centri di culto michaelici dall’Irlanda a Gerusalemme, passando da Mont Saint-Michel in Normandia e Monte Sant’Angelo nel Gargano.
La decorazione del pilastro di centro del Coro Vecchio presenta nella parte superiore la deposizione di Gesù e nella parte inferiore la scena nota come “predica della morte” o “predica dei morti”, una variante dell’iconografia dell’incontro tra vivi e morti che ha analogie sia con l’incontro dei tre vivi e dei tre morti che con il tema della Danse macabre.
Nella scena, infatti, due scheletri, uno in piedi e l’altro disteso nel sepolcro e con un serpente che gli avvolge una gamba, parlano ad un gruppo di fedeli (un papa, un re, una regina, un cardinale, un vescovo, nobili e poveri, ecclesiastici e laici) attraverso due cartigli, uno in latino, che invita alla pietà per i defunti e recita: «Miseremini mei miseremini mei saltem · vos amici mei quia manus Domini tetigit me» (Pietà di me, pietà di me almeno voi amici miei, perché la mano del Signore mi ha toccato) e uno in francese non del tutto corretto che esorta i viventi a pregare per i trapassati e a ricordare il comune destino mortale: «O vous qui pour ici passe prie Dieu pour les trapasse, car leur donne comme vos avoint ete et leur comme nous sare» (‘O voi che passate di qua, pregate Dio di perdonare i trapassati come voi siete stati perdonati e come noi saremo perdonati’; cfr. Piccat 2011, p. 166).


seguimi sulla mia pagina youtube: https://www.youtube.com/c/leggoerifletto

lunedì 15 marzo 2021

Noi e il tempo che fugge - Seneca


Noi e il tempo che fugge - Seneca

 

Il tempo ci viene tolto o sottratto, quasi a nostra insaputa, oppure ci sfugge non si sa come.

E la cosa più indecorosa è perderlo per trascurata leggerezza.

Prova a pensarci: gran parte della vita ci scappa via mentre agiamo in modo sbagliato, la maggior parte mentre stiamo senza far niente, e l'intera esistenza trascorre in occupazioni inutili e che non ci riguardano veramente. 

Trovami, se sei capace, uno che dia al tempo il giusto valore, che capisca quanto può essere importante una giornata, che si renda conto che noi moriamo un po' ogni giorno! 

Perché questo è il punto: noi pensiamo alla morte come a qualcosa che sta davanti a noi, mentre in gran parte è già alle nostre spalle: tutta l'esistenza trascorsa è già in suo potere. 

Voi vivete come se doveste vivere sempre, non pensate mai alla vostra fragilità, non volete considerare quanto del vostro tempo è già trascorso; buttate via il tempo come se lo attingeste da una fonte inesauribile. 

Preso nel vortice degli affari e degli impegni ciascuno consuma la propria vita, sempre in ansia per quello che accadrà, e annoiato di ciò che ha. 

Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani né lo teme. 

Nessuno ti restituirà i tuoi anni, nessuno ti restituirà un'altra volta a te stesso; il tempo andrà per la via su cui si è incamminato, e non tornerà indietro, nè arresterà il suo percorso; non farà rumore, non ti avviserà della sua velocità: scivolerà via silenzioso. 

Cerchiamo dunque che ogni momento ci appartenga: ma non sarà possibile, se, prima, non cominceremo noi ad appartenere a noi stessi.

 - Seneca - 


seguimi sulla mia pagina YouTube

https://www.youtube.com/channel/UCyruO4BCbxhVZp59h8WGwNg


giovedì 11 marzo 2021

Alla Fine dei Tempi autore don Bruno Ferrero


Alla fine dei tempi, miliardi di persone furono portate su di una grande pianura davanti al trono di Dio. Molti indietreggiarono davanti a quel bagliore. Ma alcuni in prima fila parlarono in modo concitato. Non con timore reverenziale, ma con fare provocatorio.

“Può Dio giudicarci? Ma cosa ne sa lui della sofferenza?”, sbottò una giovane donna. Si tirò su una manica per mostrare il numero tatuato di un campo di concentramento nazista. “Abbiamo subìto il terrore, le bastonature, la tortura e la morte!”.

In un altro gruppo un giovane nero fece vedere il collo. “E che mi dici di questo?”, domandò mostrando i segni di una fune. “Linciato. Per nessun altro crimine se non per quello di essere un nero”.

In un altro schieramento c’era una studentessa in stato di gravidanza con gli occhi consumati. “Perché dovrei soffrire?”, mormorò. “Non fu colpa mia”.

Più in là  nella pianura c’erano centinaia di questi gruppi. Ciascuno di essi aveva dei rimproveri da fare a Dio per il male e la sofferenza che Egli aveva permesso in questo mondo.

Come era fortunato Dio a vivere in un luogo dove tutto era dolcezza e splendore, dove non c’era pianto né dolore, fame o odio. Che ne sapeva Dio di tutto ciò che l’uomo aveva dovuto sopportare in questo mondo? Dio conduce una vita molto comoda, dicevano.

Ciascun gruppo mandò avanti il proprio rappresentante, scelto per aver sofferto in misura maggiore. Un ebreo, un nero, una vittima di Hiroshima, un artritico orribilmente deformato, un bimbo cerebroleso. Si radunarono al centro della pianura per consultarsi tra loro. Alla fine erano pronti a presentare il loro caso. Era una mossa intelligente.

Prima di poter essere in grado di giudicarli, Dio avrebbe dovuto sopportare tutto quello che essi avevano sopportato. Dio doveva essere condannato a vivere sulla terra.

“Fatelo nascere ebreo. Fate che la legittimità  della sua nascita venga posta in dubbio. Dategli un lavoro tanto difficile che, quando lo intraprenderà , persino la sua famiglia pensi che debba essere impazzito. Fate che venga tradito dai suoi amici più intimi. Fate che debba affrontare accuse, che venga giudicato da una giuria fasulla e che venga condannato da un giudice codardo. Fate che sia torturato. Infine, fategli capire che cosa significa sentirsi terribilmente soli. Poi fatelo morire. Fatelo morire in un modo che non possa esserci dubbio sulla sua morte. Fate che ci siano dei testimoni a verifica di ciò”.

Mentre ogni singolo rappresentante annunciava la sua parte di discorso, mormorii di approvazione si levavano dalla moltitudine delle persone riunite.

Quando l’ultimo ebbe finito ci fu un lungo silenzio. Nessuno osò dire una sola parola. Perché improvvisamente tutti si resero conto che Dio aveva già  rispettato tutte le condizioni.

“E il Verbo si fece carne” (Giovanni 1,14).

- don Bruno Ferrero - 
dal : "Libro Alla Fine dei Tempi",  editore Elledici