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domenica 10 febbraio 2019

C’è qualcuno lassù? - Don Ferrero Bruno

Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia.

Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.
Mentre le fiamme divampavano. genitori e figli corsero fuori.
In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni.

Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.
Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare.

Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile...

E i vigili del fuoco tardavano.
Ma ecco che lassù, in alto, s'aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò, urlando disperatamente: "Papà! Papà!".
Il padre accorse e gridò: "Salta giù!".
Sotto di sè il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma senti la voce e rispose: "Papà, non ti vedo...".
"Ti vedo io, e basta. Salta giù!" Urlò, l'uomo.
Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.

Non vedi Dio. Ma Lui vede te. Buttati!

- don Bruno Ferrero -


Buona giornata a tutti. :-)



giovedì 8 novembre 2018

La piccola porta è sempre aperta

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati.
Di tutti i tipi e di tutti i colori. Si vedeva bene che erano infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia. Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po' di consolazione e di coraggio per vivere; ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città come se avesse una sua personale zattera di salvezza. Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva. Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.
Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte. La lettura del bigliettino faceva effetto subito. Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio. 


Che cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto? Sei piccole parole soltanto: "La porta piccola è sempre aperta". Tutto qui. 

Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa. E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta. Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto. Il mattino dopo, quando si sveglio, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.



Buona giornata a tutti. :-)



venerdì 31 agosto 2018

Non ho sempre voluto più bene a comesichiama? - Erma Bombeck

Non ho sempre voluto più bene a comesichiama?
Di solito le donne cominciano a pensare al nome da dare al nuovo bambino appena si accorgono di aspettarlo. 
Lo scrivono per esteso, lo pronunciano ad alta voce, lo provano con le amiche, lo ricamano sui carnicini. 
Quando il bambino nasce, gli sussurrano dolcemente il nome all'orecchio, lo scrivono su una dozzina di partecipazioni e lo comunicano all'ufficio anagrafico.
Dopo qualche anno e qualche altro bambino, se lo dimenticano.
Mi è capitato di sentire madri provare dieci o dodici nomi prima di avere la fortuna di incappare in quello giusto. (Una volta che mi ero messa il pigiama alla rovescia, mia madre, pensando che l'etichetta portasse il mio nome, mi chiamò Chicco per una settimana.)
Sembra che i bambini pensino che ci sia qualcosa di freudiano in tutta questa storia. 
Il vecchio trauma del se-mia-madre-mi-volesse-bene-davvero-ri-corderebbe-come-mi- chiamo. 
Balle. Io voglio bene a Marc... Mar... Mic- Mas... comesichiama tanto quanto a Bet... Bru... Luc... Fil... insomma lo sai tu come ti chiami.
Lo psichiatra del quartiere mi dà ragione. 
Dice che non si possono fare generalizzazioni sulle madri che non sempre riescono a chiamare i loro figli con il nome giusto.
Di solito è già buona che riesca a ricordare perché li chiamo, figuriamoci il nome. 
L'altro giorno, parlando con un giovanotto appena sposato, sono venuta a sapere che aveva sette fratelli e non ricordava una sola volta in cui la madre l'aveva chiamato con il suo nome. «Forse perché eravamo tanti», ha detto, «la povera mamma faceva confusione.»
Mi dispiace molto demolire questa teoria, ma io sono stata a lungo figlia unica, eppure venivo chiamata di volta in volta Sara... Bea... Cris... Vir... Edna. Alla fine, disperata, mia madre si metteva a gridare: «Quante volte ti devo chiamare prima che ti degni di rispondere?»
E io urlavo di rimando: «Risponderò quando mi chiamerai col mio nome».
«Ma ci sono andata vicino, no?» gridava lei. 
«Ci sei quasi arrivata, con Edna.»
«Edna è un nome che mi è sempre piaciuto», diceva lei tutta soddisfatta. «Avrei proprio dovuto chiamarti Edna.»
«E allora perché mi hai chiamata Erma?» «Perché era facile da ricordare.»

- Erma Bombeck -


Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 7 maggio 2018

Tu non mi vuoi bene? - Erma Bombeck

«Tu non mi vuoi bene?»
Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore? 
E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate? Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.
Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.
Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.
Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.
Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: «L'ho rubata».
Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora. 
Ti ho amato abbastanza da dire: «Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma».
Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.
Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.
Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa. 
Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano «le altre madri». 
Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi. 
Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.
Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo. 
Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.
Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire «No» anche sapendo che mi avresti odiato. È stata questa la decisione più difficile.

- Erma Bombeck - 


Buona giornata a tutti. :-)