sabato 29 settembre 2018

Nuova coscienza - Tiziano Terzani


Sono convinto che ormai, in giro per il mondo, fra la gente più diversa, sta crescendo una nuova coscienza di che cosa è sbagliato e di che cosa va fatto. Questa nuova coscienza, a mio parere, è il grande bene del nostro tempo.
Va coltivata.
La soluzione è dentro di noi, si tratta di conquistarla facendo ordine, buttando via ciò che è inutile e arrivando al nocciolo di chi siamo.
Più che assaltare le cittadelle del potere, si tratta ormai di fare una lunga esistenza.
Bisogna resistere alle tentazioni del benessere, alla felicità impacchettata; bisogna rinunciare a volere solo ciò che ci fa piacere.
La strada da percorrere è ovvia: dobbiamo vivere più naturalmente, desiderare di meno, amare di più e anche i malanni diminuiranno.
Invece che cercare medicine per le malattie cerchiamo di vivere in maniera che le malattie non insorgano.
E soprattutto basta con le guerre, con le armi.
Basta coi nemici. Bisogna riportare una dimensione spirituale nelle nostre vite ora intrappolate nella pania della materia.
Dobbiamo essere meno egoisti, meno presi dall'interesse personale e più dedicati al bene comune.

- Tiziano Terzani - 


Buona giornata a tutti. :)



venerdì 28 settembre 2018

Missione-vocazione - Madeleine Delbrel

Le due vie sono sempre esistite. 
Sempre il Signore dirà agli uni: "A causa di me e del mio amore tu avrai una moglie, dei figli, una casa, dei beni da amministrare da parte mia nel mondo".
Sempre il Signore dirà agli altri:
"Tu non avrai che me e io sarò il Tuo tutto".
Sempre il Signore dirà agli uni:
"Io so ciò che ti conviene, ti darò ogni giorno la tua pena il tuo pane quotidiano, perché dovunque tu sarai ci sia anche la mia croce".
Sempre il Signore dirà agli altri:
"Prendi la tua croce e seguimi".
Prendila con le tre braccia della povertà, dell'obbedienza e della castità.
Perché? Perché questo io voglio: che tu mi ami e che noi amiamo il mondo insieme.
La maggior parte di coloro ai quali Cristo tiene un tal discorso stanno sotto vesti scure, bianche o nere, discepoli d'un santo che fu attraverso il tempo compagno di strada del Signore.
Altri sono persone come voi e come me, persone affondate il più a fondo possibile nello spessore del mondo, separate da questo mondo da nessuna regola nessun voto nessun abito nessun convento.
Povere, ma simili alle persone d'ogni luogo. Pure, ma simili a persone di qualsiasi ambiente.
Obbedienti, ma simili a persone di qualsiasi paese.
Sono per tutto e per tutti: ne troverete che insegnano, che emanano leggi, che curano e consolano, che lavorano in officina.
Per essi un mondo vale l'altro e un'anima un'altra anima. Ma non tediateli con metodi e tecniche.
Non dite loro: "Qui è meglio aver l'aria un po' ricca: riuscirete meglio"; "Là è meglio sposarvi, sarete un apostolo migliore"; o ancora: "Sappiate ciò che volete, e mirateci".
Essi vi risponderanno:
"Non si possono seguire due strade. Ci date delle ricette che non fanno per noi".
Se noi siamo un po' malconci, se noi facciamo in questo mondo la figura degli accampati, è perché la nostra ricetta è di non possedere altro che il Signore. 

Se noi non abbiamo focolare, se a casa nostra né marito né moglie né figli ci attendono, è perché il Signore ci possiede e da Lui solo noi vogliamo essere posseduti.
Se noi non abbiamo programma è perché il nostro Padre del Cielo l'ha scritto prima per noi e ci basta ricevere i suoi ordini giorno per giorno.
Non dite loro che la croce è dannosa, un po' morbosa e un po' malsana, che il mondo ha bisogno di ritrovare il volto della gioia e non dei penitenti.
Vi risponderanno:
"Noi vi parleremo della gioia quando l'avremo imparata sulla croce dove ritroviamo il nostro amore.
La nostra gioia è d'un prezzo così esorbitante che è stato necessario per acquistarla vendere ciò che possedevamo e tutto noi stessi".
Quelli della prima chiamata, devono essere numerosi, perché il mondo è grande e il suo battesimo è lungo.
Ma quelli della seconda chiamata, bisogna che ve ne siano almeno alcuni per dare agli uomini, questi adulti fanciulli, l'edizione visiva della vita di Gesù:
Gesù, che è la "Missione" stessa.


- Madeleine Delbrel -


Buona giornata a tutti. :)




lunedì 24 settembre 2018

Il valore del lavoro (1913) - Charles Péguy

Un tempo gli operai non erano servi.
Lavoravano.
Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore.
La gamba di una sedia doveva essere ben fatta.
Era naturale, era inteso. Era un primato.
Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario.
Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone.
Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura.
Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta.
E ogni parte della sedia fosse ben fatta.
E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano.
Secondo lo stesso principio delle cattedrali.
E sono solo io - io ormai così imbastardito - a farla adesso tanto lunga.
Per loro, in loro non c'era neppure l'ombra di una riflessione.
Il lavoro stava là. Si lavorava bene.
Non si trattava di essere visti o di non essere visti.
Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.

- Charles Péguy -


Buona giornata a tutti. :)





mercoledì 19 settembre 2018

Il piccolo re solitario - don Ferrero Bruno

Lontano, lontano da qui, in un mare dal nome strano, c'era una piccola isola, con le spiagge bianche e le colline verdi.
Sull'isola c'era un castello e nel castello viveva un piccolo re. Era un re abbastanza strano, perché non aveva sudditi. Nemmeno uno.
Ogni mattina il piccolo re, dopo aver sbadigliato ed essersi stiracchiato, si
lavava le orecchie e si spazzolava i denti; poi si calcava in testa la corona e
cominciava la sua giornata. Se splendeva il sole, il piccolo re correva sulla
spiaggia a fare sport. 
Era un grande sportivo. Deteneva infatti tutti i record
del regno: da quello dei cento metri di corsa sulla sabbia, al lancio della
pietra, a tutte le specialità di nuoto, eccetto lo sci acquatico, perché non
trovava nessuno che guidasse il reale motoscafo. E dopo ogni gara, il re si
premiava con la medaglia d'oro. Ne aveva ormai tre stanze piene.
Ogni volta che si appuntava la medaglia sul petto, si rispondeva con garbo:
"Grazie, maestà!".
Nel castello c'era una biblioteca, e gli scaffali erano pieni di libri. 
Al re
piacevano molto i fumetti d'avventure. Un po' meno le fiabe, perché nelle fiabe tutti i re avevano dei sudditi. "E io neanche uno!" si diceva il re. "Ma come dice il proverbio: è meglio essere soli che male accompagnati".
E quando faceva i compiti, si dava sempre dei bellissimi voti. "Con i
complimenti di sua maestà", si dichiarava.
Una sera, però, sentì un certo nonsoché che lo rendeva malinconico; camminò fino alla spiaggia, deciso a cercare qualche suddito, e pensava: "Se solo avessi cento sudditi".
Allora proseguì sulla spiaggia verso destra, ma la riva era completamente
deserta.
"Se solo avessi cinquanta sudditi", disse il re; tornò indietro e camminò sulla spiaggia verso sinistra fino a che poté, ma la riva era ugualmente deserta. Il re si sedette su uno scoglio ed era un po' triste; e di conseguenza non si accorse nemmeno che quella sera c'era un magnifico tramonto.
"Se solo avessi dieci sudditi, probabilmente sarei più felice".
Notò lontano sul mare alcuni pescatori sulle loro barche e si rallegrò.
"Sudditi", gridò il re; "sudditi, da questa parte, ecco il re, urrà!".
Ma i pescatori non lo sentirono, e tutto quel gridare rese rauco il re. Tornò a
casa e scivolò sotto la sua bella trapunta colorata; si addormentò e sognò un milione di sudditi che gridavano "urrà" nel momento in cui lo vedevano.
Non dormì a lungo. Un vociare forte e disordinato lo svegliò. Il piccolo re non aveva sudditi, ma aveva dei nemici accaniti. Erano i pirati del terribile
Barbarossa.
Sembravano sbucare dall'orizzonte, con la loro nave irta di cannoni, con i loro baffi spioventi e il ghigno feroce, e i coltellacci fra i denti.
"All'arrembaggio!", gridava Barbarossa, il più feroce di tutti. E i trentotto
pirati entravano urlando nel castello e facevano man bassa di tutto quello che trovavano. A forza di scorrerie, nel castello era rimasto ben poco di
asportabile, così i pirati avevano preso l'abitudine di riportare qualcosa ogni volta per poterlo rubare nella scorreria successiva.
Il piccolo re aveva una paura tremenda dei pirati e soprattutto del crudele
Barbarossa che ogni volta sbraitava: "Se prendo il re, lo appendo all'albero
della nave!".
Così, quando sentiva arrivare i pirati, si nascondeva in uno dei tanti
nascondigli segreti del castello. Dentro, rannicchiato nel buio, aspettava la
partenza dei pirati. Era così da tanto tempo ormai, e il piccolo re non si
sentiva affatto un fifone. "Se avessi un esercito", pensava, "Barbarossa e la
sua ciurma non la passerebbero liscia".
Un mattino, il re si svegliò a un suono completamente nuovo. Lo ascoltò e si
rese conto che non aveva mai udito un suono simile. "Forse sono arrivati i miei sudditi", pensò il re, e andò ad aprire la porta. Sul gradino della porta sedeva un enorme gatto arancione.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono il gatto", disse il gatto.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il gatto; "ho fame e ho freddo".
Il re lasciò entrare il gatto nella sua casa, e il gatto fece un giro intorno e
vide quanto era grande e confortevole.
"Che bellissima casa hai".
"Sì, non è male", disse il re; e improvvisamente si accorse di tutte le cose che
non aveva mai visto in molti anni.
"E' perché io sono il re", disse il re; ed era molto soddisfatto.
"Io resterò qui", decise il gatto, e si sistemò nella casa per vivere con il re;
e il re fu felice perché ora aveva finalmente un suddito.
"Dammi del cibo", disse il gatto, e il re corse via immediatamente per andare a prendere cibo per il gatto.
"Fammi un letto", disse il gatto; e il re corse alla ricerca di una trapunta e
di un cuscino.
"Ho freddo", disse il gatto; e il re accese un fuoco affinché il gatto potesse
scaldarsi.
"Ecco fatto, signor Suddito", disse il re al gatto.
E il gatto rispose: "Grazie, signor Re".
E il re non notò neppure che, sebbene fosse il re, serviva il gatto.
Il tempo passava e il re era felice in compagnia del gatto, e il gatto mostrava al re ogni cosa che il re nella sua solitudine era riuscito a dimenticare: il tramonto, la rugiada del mattino, le conchiglie colorate e la luna che scivolava attraverso il cielo come la barca dei pescatori sul mare.
Qualche volta accadeva al re di passare davanti a uno specchio, e quando vedeva a sua immagine diceva: "Il re, urrà". E si salutava. Non era più il campione assoluto dell'isola. Il gatto lo batteva nel salto in alto, in lungo e
nell'arrampicata sugli alberi; ma il re continuava a eccellere nel nuoto e nel
lancio della pietra.
Un mattino, il re sentì bussare alla porta del castello. Corse ad aprire,
pensando: "Arrivano i sudditi". Si trovò davanti un piccoletto con la faccia
allegra. Era un pinguino, con la camicia bianca e il frac di un bel nero
lucente.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono un pinguino", disse il pinguino.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il pinguino; "ho fame e ho i piedi congelati. Sono
stufo di abitare su un iceberg".
Il re lasciò entrare il pinguino nella sua casa e gli presentò il gatto, che fu
molto felice di fare conoscenza con il pinguino.
"Penso che mi fermerò qui con voi", disse il pinguino.
Il re ne fu felicissimo. Adesso aveva due sudditi. Corse a preparare una buona cenetta per il pinguino, mentre il gatto portava al nuovo ospite due soffici pantofole.
"Io farò il maggiordomo. Mi ci sento portato", dichiarò il pinguino. "Terrò in ordine il castello e servirò gli aperitivi in terrazza".
Così furono in tre a guardare i tramonti. Ed era ancora meglio che in due. Il re non vinceva più molte gare sportive, perché il pinguino lo batteva a nuoto e nei tuffi. Scoprì, sorprendentemente, che si può essere contenti anche se non si vince sempre.
Ma una sera, lontano all'orizzonte, apparve la nave del pirata Barbarossa.
"Presto scappiamo a nasconderci", gridò il re.
"Neanche per sogno", disse il gatto. "Siamo in tre e possiamo battere quei
prepotenti".
"Certo", ribatté il pinguino. "Basta avere un piano".
"Nell'armeria del castello c'è l'armatura del gigante Latus", disse il re.
"Bene", disse il gatto. "Ci infileremo nell'armatura e affronteremo i pirati".
"Il gatto si metterà sulle mie spalle, e il re sul gatto, così potrà brandire la
spada", continuò il pinguino.
"Approvo il piano", concluse il re.
Così fecero. Quando approdarono alla spiaggia, i pirati rimasero paralizzati dalla sorpresa. Verso di loro, a grandi passi ondeggianti, avanzava un gigante che brandiva un enorme e minaccioso spadone. "E' tornato il gigante Latus!", gridarono. "Si salvi chi può!". E si buttarono in acqua per raggiungere la nave.
Da allora nessuno li vide mai più.
Sulla spiaggia dell'isola il piccolo re, il gatto e il pinguino si abbracciarono
ridendo. Poi il gatto e il pinguino sollevarono il re e lo gettarono in aria
gridando: "Re è il migliore amico che c'è, urrà!".

- don Bruno Ferrero -
 Fonte:Bruno Ferrero, Nuove Storie


Buona giornata a tutti. :)




lunedì 17 settembre 2018

La Leggenda del pianista sull'oceano, monologo finale

"Tutta quella città, non si riusciva a vederne la fine… la fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? Era tutto molto bello su quella scaletta, e io ero grande, con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema.
Non è quello che vidi che mi fermò, Max… è quello che non vidi. 

Puoi capirlo. Quello che non vidi… in tutta quella sterminata città c’era tutto, tranne la fine. C’era tutto! Ma non c’era una fine. 
Quello che non vidi è dove finiva tutto quello, la fine del mondo.
Tu pensa ad un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. 

Ma tu lo sai che sono ottantotto, e su questo nessuno può fregarti. Ma non sono infiniti loro: tu sei infinito; e dentro a quegli ottantotto tasti la musica che puoi fare è infinita. E questo a me piace, in questo posso vivere. 
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai – e questa è la verità: che non finiscono mai – quella tastiera è infinita. 
Ma se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo, ma le vedevi le strade?! Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voi altri laggiù a sceglierne una? 

A scegliere una donna? Una casa? Una terra che sia la vostra? Un paesaggio da guardare? Un modo di morire?
Tutto quel mondo addosso, che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è, ma non avete paura voi di finire in mille pezzi solo a pensarla quella enormità? Solo a pensarla, a viverla! Io ci sono nato su questa nave. 
E vedi anche qui il mondo passava, ma a non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo.
La terra è una nave troppo grande per me. 
È una donna troppo bella, è un viaggio troppo lungo, è un profumo troppo forte, è una musica che non so suonare.
Non scenderò dalla nave. 
Al massimo posso scendere dalla mia vita. 
In fin dei conti è come se non fossi mai nato. Sei tu l’eccezione, Max. Solo tu sai che sono qui. E sei una minoranza, non ti resta che adeguarti. 
Perdonami, amico mio, ma io non scenderò".

Tratto dal film: "La leggenda del pianista sull'oceano"
film italiano del 1998 con Tim Roth, regia di Giuseppe Tornatore


Buona giornata a tutti. :)




venerdì 14 settembre 2018

Le 4 candele

Questa è la storia di quattro candele che, bruciando, si consumavano lentamente.
Bruciavano e si consumavano inutilmente perché - dicevano loro –
“Nessuno si cura di  noi, nessuno approfitta della nostra luce e del nostro calore”.

Così si espresse la prima candela:
Io sono la Pace, gli uomini non riescono a mantenermi,
penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”.
Così fu, e a poco a poco la candela si lasciò spegnere completamente.

Anche la seconda candela a poco a poco, vedendo spenta la prima candela, si lasciò prendere dallo sconforto e disse:
"Io sono la Fede, purtroppo non servo a nulla, gli uomini non ne vogliono sapere di me e perciò non ho motivo che resti accesa”.
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.

Triste e sconsolata, la terza candela a sua volta disse:
"Io sono l'Amore. Non ho forza per continuare a rimanere accesa.
Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.
Essi odiano perfino coloro che più li amano, i loro familiari".
E, senza attendere oltre la candela si lasciò spegnere.

Inaspettatamente, un bimbo, in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente.
Impaurito per la semi oscurità disse:
"Ma cosa fate! Voi  dovete rimanere accese, io ho paura del buio".
E così dicendo scoppiò in lacrime.

Allora la quarta candela impietositasi, disse:
“Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre candele. Io sono la Speranza”.

Con gli occhi gonfi e lucidi di lacrime, il bimbo prese la candela della Speranza e riaccese tutte le altre.

Che non si spenga mai la speranza dentro il nostro cuore…
E che ciascuno di noi possa essere lo strumento, come quel bimbo capace in ogni momento di riaccendere, con la sua speranza, la fede, la pace e l’amore.




Buona giornata a tutti. :)

www.leggoerifletto.it

giovedì 13 settembre 2018

Il dromedario e il cammello - Gianni Rodari

Una volta un dromedario,
incontrando un cammello,
gli disse: - Ti compiango,
carissimo fratello;
saresti un dromedario
magnifico anche tu
se solo non avessi quella brutta gobba in più.
Il cammello gli rispose:
- Mi hai rubato la parola.
E' una sfortuna per te
avere una gobba sola.
Ti manca poco ad essere
un cammello perfetto:
con te la natura
ha sbagliato per difetto.

La bizzarra querela
durò tutto una mattina.
In un canto ad ascoltare
stava un vecchio beduino
e tra sé, intanto, pensava:
"Poveretti tutti e due,
ognun trova belle
soltanto le gobbe sue.
Così spesso ragiona
al mondo tanta gente
che trova sbagliato
ciò che è solo differente!"

- Gianni Rodari -


Buona giornata a tutti. :-)



Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono. 

- Aristotele - 




lunedì 10 settembre 2018

L'Amicizia - Tahar Ben Jelloun

L’amicizia è una religione senza Dio né Giudizio finale.
E non c’è neppure il diavolo.
Una religione che non è estranea all’amore.
Ma un amore dove la guerra e l’odio sono proscritti, dove il silenzio è possibile.
Potrebbe essere lo stato ideale dell’esistenza.
Uno stato tranquillo. Un legame necessario e raro.
Non sopporta impurità alcune.
L’altro, di fronte, la persona che si ama, non è solamente uno specchio che riflette, è anche l’altro se stesso sognato.
L’amicizia perfetta dovrebbe essere una sorta di solitudine felice, spurgata dai sentimenti d’angoscia, di rifiuto e di isolamento.
Non si tratta di una semplice storia di sdoppiamento nella quale l’immagine di sé sarebbe passata attraverso un filtro, un esame che dovrebbe ingrandire i difetti e le carenze e ridurre le qualità.
Lo sguardo dell’amico dovrebbe riconsegnarci la nostra immagine considerata in modo esigente.
L’amicizia allora consisterebbe in questa reciprocità senza sfasature, guidata dallo stesso principio di amore: il rispetto che ciascuno deve a se stesso se vuole che gli altri glielo ricambino, naturalmente.


- Tahar Ben Jelloun -


Buona giornata a tutti. :-)



domenica 9 settembre 2018

Riflessione sull'egocentrismo - Arthur Schopenhauer

Gli uomini sono per la maggior parte così soggettivi che in fondo non provano interesse che per se ... stessi. 
Ne consegue che, in tutto quello che viene detto, pensano subito a se stessi, e ogni casuale riferimento anche lontanamente attinente a qualcosa di personale attira e occupa tutta la loro attenzione, sicché essi non sono minimamente in grado di afferrare il contenuto oggettivo del discorso; ne deriva anche che nessun argomento conta quando entri in campo il loro interesse o la loro vanità. 
Perciò è tanto facile distrarli, ferirli offenderli mortificarli che quando si parla con loro, anche nel modo più obiettivo, di qualunque cosa, non si sta mai abbastanza in guardia per evitare possibili riferimenti che potrebbero risultare urtanti al loro prezioso e delicato “io”: questo solo importa loro, e nient’altro. 
E mentre essi non comprendono e non gustano nel discorso altrui quanto c’è di vero, di giusto, di bello, di raffinato e di spiritoso, hanno la più delicata sensibilità per tutto ciò che anche alla lontana e indirettamente potrebbe ferire la loro meschina vanità o che potrebbe riflettersi in qualche modo negativamente sulla loro preziosissima persona......
Persone simili però è altrettanto facile lusingarle e conquistarle. 
Pertanto il loro giudizio è perlopiù opportunistico, ed equivale a una dichiarazione in favore del loro partito o della loro classe, non a un’affermazione obiettiva e giusta. 
La ragione di tutto ciò è che in essi la volontà prevale di gran lunga sulla conoscenza, e il loro mediocre intelletto è completamente al servizio della stessa volontà, di cui non riesce a liberarsi neppure per un attimo.
Una prova grandiosa della miserevole soggettività di questi uomini, per cui essi riferiscono ogni cosa a se stessi e riconducono ogni pensiero al loro io, è data dall’astrologia, che collega il corso dei grandi astri all’insignificante individuo, e mette in relazione le comete celesti con le faccende e le miserie terrene.

- Arthur Schopenhauer -
"Consigli sulla felicità"


Buona giornata a tutti. :-)